Dossier sul nucleare.

Capitolo 3 - LE INFINITE SOLUZIONI DEL CAPITALE AL PROBLEMA DELLE SCORIE.

Nel capitolo precedente abbiamo trattato il problema dello smaltimento e della gestione delle scorie nucleari. Si è visto che queste, oltre ad assorbire una enorme quantità di risorse umane e tecnologiche per la loro gestione, rappresentano un grave pericolo per l’ambiente.
Inoltre ancora oggi, al di la di provvedimenti tecnico-geografici palliativi e di espedienti temporanei, non si hanno ancora soluzioni definitive e soddisfacenti per il loro stoccaggio.
Molte scorie nucleari hanno tempi di decadimento radioattivo di migliaia di anni, alcune fino a centinaia di migliaia di anni.
I costi per la loro gestione sono enormi; depositi definitivi, adatti a conservarle in sicurezza per migliaia di anni, non se ne trovano e le comunità locali sono sempre più agguerrite. Un vero rompicapo per le holding energetiche e per gli apparati statali che ne garantiscono gli interessi.
Tuttavia, anche se di fronte a problemi attualmente ancora praticamente insormontabili, la lobby nucleare, composta dagli apparati statali e da faccendieri privati, dimostra di avere una grande fantasia imprenditoriale.
Essa agisce in due modi distinti: o scaricando, mediante la complicità dello Stato, sulla fiscalità generale i costi relativi alla gestione in sicurezza di tali rifiuti, oppure ricorre ad altri stratagemmi, affidando alle mafie nazionali ed internazionali la gestione del trasporto e dello scarico di questi veleni. Organizzazioni che certamente non hanno cura di portarli in depositi sicuri o discariche tecnicamente appropriate.
Quando la lobby nucleare ricorre a questo secondo stratagemma, che gli permette di risparmiare notevolmente sui costi di produzione, ha diverse opzioni.
Una è quella dell’auto-affondamento delle cosiddette navi dei veleni: si compra per pochi spiccioli una carretta arrugginita, la si riempie delle peggiori schifezze, la si manda in mare, dove, lontana da occhi indiscreti, la si fa colare a picco con tutto il suo carico di veleni.
Nel Mediterraneo questa pratica ha avuto inizio almeno a partire dal 1987, con decine e decine di auto-affondamenti, dei quali alcuni sono venuti alla luce solo perché falliti nell’intento, rendendosi palesi all’opinione pubblica. Un esempio su tutti, eclatante perché risalito alla ribalta delle cronache anche negli ultimi tempi, è quello che ha riguardato e che riguarda tuttora lo spiaggiamento della motonave Rosso sulle coste della Calabria.
Secondo le procura di Reggio Calabria, che ancora indaga su questi episodi, potrebbero essere numerosi gli auto-affondamenti di navi ricolmi di rifiuti pericolosi (almeno 49 quelli di cui si ha notizia), tra cui anche nucleari, specialmente lungo la costa jonica e tirrenica della Calabria, ma anche al di fuori del Mediterraneo, lungo le coste Somale, della Serra Leone e della Guinea. La procura inoltre mette in luce la presenza di molti altri relitti sospetti presenti anche in prossimità delle coste adriatiche della ex Jugoslavia, relitti su cui non si è mai indagato.
Alcuni di questi vengono alla luce solo perché colpiscono un altro settore del capitale, quello delle grandi assicurazioni come la Lloyds, dai cui registri si rileva, infatti, che numerose sono le navi affondate in modo sospetto nel Mediterraneo.
Quando la quantità di scorie radioattive non giustifica operazioni di trasporto all’estero o di auto-affondamento di navi, il vettore scelto dalla lobby nucleare, ossia la criminalità organizzata, le distribuisce sul nostro territorio, spargendole qua e là in funzione della sua capacità di controllo del territorio.
Questa cosa è accaduta specialmente al sud dell’Italia, ma non solo, dove le mafie sfruttano per l’occultamento ex cave, discariche abusive già esistenti oppure creandone delle nuove o addirittura confondendo le scorie con i rifiuti indifferenziati delle discariche autorizzate, come è ormai certo che sia avvenuto in Campania.
Negli anni ‘90 c’è anche chi progetta e propone un sistema di smaltimento economicamente interessante per i faccendieri nucleari. La ODM (Oceanic Disposal Management Inc.), una società, peraltro direttamente implicata nel caso della motonave Rosso, propone di mettere in opera su scala mondiale operazioni di seppellimento nei fondali marini di scorie radioattive, per altro in violazione della convenzione di Londra del 1993 sull’inquinamento marino. Il progetto prevedeva il seppellimento in mare delle scorie, attraverso dei “penetratori”, ossia dei siluri lunghi 16 metri del peso di circa 200 tonnellate ciascuno, fatti scivolare verso i fondali argillosi da navi opportunamente attrezzate.
Ci sarebbe da ridere a crepapelle se non fosse che questa società di benefattori ha avuto credenziali in tutta Europa, da come si evince da un dossier di Lega Ambiente, con basi logistiche in Italia, Austria e Svizzera. E non avesse avuto rapporti con i peggiori faccendieri europei e specialmente italiani, che facevano affari d’oro con il traffico dei rifiuti e specialmente di quelli pericolosi. In questo ambito la ODM avrebbe trattato illegalmente nel 1997 qualcosa come 3 mila tonnellate di rifiuti al giorno per un valore complessivo equivalente di 4.8 milioni di dollari d’allora, esportando tra l’altro illecitamente i rifiuti in paesi come Romania, Libano e Venezuela e ricavandone proventi illeciti che sarebbero stati esportati e ripuliti da compagnie finanziarie italiane in paesi quali Panama, le Isole Vergini, il Liechtenstein e l’Irlanda. Tra il 1987 e il 1996, come riportato dal dossier “le navi dei veleni” di Lega Ambiente e del WWF, la rete formata da queste aziende avrebbe avuto rapporti d’affari con grandi aziende pubbliche e private italiane e con multinazionali, quali tra le altre: Castalia SpA, Termomeccanica SpA, Waste Management Tecnologies (WMX) e la Compagnie Generale des Eaux.
La lobby nucleare ricorre anche ad un’altra “brillante” scappatoia per l’occultamento dei rifiuti radioattivi: il traffico a livello europeo di ferraglia contaminata proveniente dallo smantellamento delle infrastrutture nucleari dismesse e riciclata dall’industria siderurgica europea per produrre manufatti metallici.
Questa metodologia soddisfa contemporaneamente il bisogno di disfarsi rapidamente e senza fare troppo rumore delle scorie radioattive e diviene un business apprezzabile per imprese che in tal modo risparmiano sulle materie prime. Pazienza se come effetto si ha l’innalzamento del livello medio della radioattività ambientale.
Non so se qualcuno ricorda un evento accaduto nel maggio del 1998, in cui dopo alcune misure risultò un eccesso di presenza di Cesium-137 (tempo di dimezzamento dai 10 agli 8 anni, emettitore Beta), in Francia del sud, in Svizzera, in Italia ed in Germania del sud, con valori anche 1000 volte più alti dei limiti consentiti dalla normativa europea. All’inizio non si sapeva da dove provenisse questa nuvola radioattiva ma poi si scopri che arrivava dalla Spagna del sud, e precisamente dalla fonderia Acerinox nella regione di Cadice. Il materiale ferroso riciclato nella fonderia proveniva dai Paesi Bassi, dagli Stati Uniti, dal Canada e dalla Germania.
Per ammissione della stessa IAEA (Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica), solo nel triennio 1996-1998 e solo nei Paesi Bassi, sono state scoperte circa 200 spedizioni contaminate destinate alle acciaierie di questa parte dell’Europa. In Italia nel marzo del 2008, i Carabinieri del Comando Tutela Ambiente sequestrarono nelle province di Brindisi, Campobasso, Treviso, Milano, Lucca, Frosinone, Latina e Mantova trenta tonnellate di acciaio inox contaminato da Cobalto 60, isotopo radioattivo caratterizzato da elevata radiotossicità e tempi di dimezzamento della carica radioattiva di sei anni, importato dalla Cina nel maggio dello scorso anno. Il materiale era destinato alla produzione di manufatti come pulegge, cappe di aspirazione, serbatoi e tramogge.
Ma ritorniamo ai traffici marini di scorie radioattive perché la tecnica dell’auto-affondamento non è l’unica utilizzata per sbarazzarsi dei rifiuti nucleari. Ce n’è un’altra che coinvolge, in un intrigata interconnessione, traffici di armi e di scorie. In questa rete gli attori principali sono vari Stati europei, compresa l’Italia, rappresentati dai loro servizi segreti, organizzazioni criminali e gruppi locali di potere africani.
Il meccanismo è quello di far partire navi dall’Italia spesso con la copertura di effettuare trasporto di aiuti umanitari, quando in realtà queste navi, con la complicità di apparati statali civili e militari, trasportano scorie nucleari e armi leggere e mediamente pesanti. Trasportano questo loro carico doppiamente mortale in alcuni paesi africani (specialmente Somalia), dove affidano le armi a gruppi locali di potere che in cambio penseranno a disfarsi del carico radioattivo. I traffici internazionali, sia di rifiuti che di armi o di triangolazioni fra scorie e forniture militari, come ormai è dimostrato sia avvenuto a metà degli anni '90 in particolare in Somalia, sono proseguiti e proseguono tuttora, garantiti anche da norme internazionali assolutamente funzionali, come ad esempio quelle del "doppio registro", in cui scafo e contenuto possono battere due bandiere diverse a seconda delle convenienze degli armatori.
Allo stesso tempo le autorità marittime di controllo, a causa di precise e funzionali direttive politiche, hanno sempre meno possibilità di incidere realmente nel fermare i traffici illegali, e le Capitanerie di porto sono molto più impegnate a reprimere il fenomeno dell'immigrazione che quello dei traffici illeciti di scorie industriali.
A tutti questi intrecci perversi tra Stati, multinazionali, servizi segreti, apparati militari e traffici di scorie radioattive e armi, è legato l’assassinio della giornalista del Tg3 Ilaria Alpi e dell'operatore Miran Hrovatin, il 20 marzo 1994 in Somalia.
Ilaria Alpi e Miran Hrovatin pagarono con la loro vita per un’inchiesta che stavano conducendo tra Somalia e Italia volta a far luce sui misteri che avvolgevano molti di questi traffici mortali.
È alle loro persone che voglio dedicare queste quattro righe di riflessione.

Zatarra